La voce degli antichi può essere letta in chiave attualizzante, misurando la distanza che ci separa e come essa possa rispondere a domande che premono a noi nel presente. Cerchiamo allora di esporre tre opinioni nei confronti di un tema immortale: l'invidia.
Democrito è un altro che parlerà di invidia. Filosofo atomista del V secolo a.C., scriverà:
Ultima testimonianza che vale la pena di accennare è quella di uno dei più grandi politici democratici della storia: Pericle. In un discorso tenuto ad Atene, durante la annuale commemorazione ai caduti della Guerra del Peloponneso, un piccolo dettaglio è rivolto al nostro tema dell'invidia. E' una finezza psicologica, una riflessione molto rapida ma d'impatto. Infatti lo studio dei comportamenti umani non è un'invenzione del XX secolo, ma è da millenni che si formulano teorie sulla psiche. Insomma Pericle prima di iniziare fa una premessa: qualunque cosa dirà sarà inadeguata. Infatti per i presenti che hanno cari morti in battaglia nessun discorso colmerà mai il dolore che hanno nel cuore, mentre per coloro che non hanno legame diretto con i defunti sembrerà tutto un'esagerazione. Ascoltando un elogio dal loro punto di vista troppo maestoso. Questi allora saranno indotti all'invidia e quindi alla diffidenza. Infatti, secondo Pericle:
(1)Framm.245 DK;
(2)Tucidide, La guerra del Peloponneso, Libro secondo, 37;
"Le leggi non impedirebbero a ciascuno di vivere come più gli piace se gli uomini non si facessero del male a vicenda: è l'invidia, infatti, la causa della discordia." (1)L'invidia quindi, come per Esiodo è causa di scontro, di conflitto tra gli uomini. Il fatto però non rimane chiuso tra le aule del tribunale e i bisticci con il fratello Perse. Infatti prende un ruolo politico: le leggi non limiterebbero la nostra libertà se non ci comportassimo in questo modo. Se fossimo tutti virtuosi e saggi, non ci sarebbe bisogno di limitare le nostre possibilità. Nessuno dovrebbe ricordarci che non è giusto uccidere per un'eredità, picchiare il proprio collega, incendiare una casa... lo sapremmo già perchè basterebbe convivere senza discordia. Le leggi allora servono a eliminare questi conflitti potenziali tra uomini, che per Democrito nascono appunto dall'invidia.
Ultima testimonianza che vale la pena di accennare è quella di uno dei più grandi politici democratici della storia: Pericle. In un discorso tenuto ad Atene, durante la annuale commemorazione ai caduti della Guerra del Peloponneso, un piccolo dettaglio è rivolto al nostro tema dell'invidia. E' una finezza psicologica, una riflessione molto rapida ma d'impatto. Infatti lo studio dei comportamenti umani non è un'invenzione del XX secolo, ma è da millenni che si formulano teorie sulla psiche. Insomma Pericle prima di iniziare fa una premessa: qualunque cosa dirà sarà inadeguata. Infatti per i presenti che hanno cari morti in battaglia nessun discorso colmerà mai il dolore che hanno nel cuore, mentre per coloro che non hanno legame diretto con i defunti sembrerà tutto un'esagerazione. Ascoltando un elogio dal loro punto di vista troppo maestoso. Questi allora saranno indotti all'invidia e quindi alla diffidenza. Infatti, secondo Pericle:
"Le lodi rivolte ad altri sono sopportate solo fino al punto in cui ognuno ritiene di poter essere in grado a sua volta di realizzare qualcosa di quel che ha udito; ciò che invece supera questo limite stimola l'invidia inducendo anche alla diffidenza." (2)Per fare un esempio pratico, noi siamo felici per un nostro amico che si laurea, solo quando noi pensiamo di essere in grado di farlo; siamo felici del successo di un caro quando pensiamo di poter raggiungere almeno la sua posizione; siamo felici della bellezza di un'amica quando pensiamo di poterla superare... Altrimenti l'invidia è l'unica aspettativa. Solo cinismo o c'è un fondo di verità? A voi il giudizio. Questo fatto però ha una conseguenza interessante: quando qualcuno è invidioso di noi allora vuol dire che si sente inferiore, ed è per questo che H. De Balzac scriverà:
"L'invidia è una confessione di inferiorità."
(1)Framm.245 DK;
(2)Tucidide, La guerra del Peloponneso, Libro secondo, 37;

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