sabato 2 gennaio 2016

A cosa serve far filosofia?





<Possiamo davvero "conoscere" l'universo? Mio Dio, è già così difficile orientarsi a Chinatown. Il punto comunque è: C'è qualcosa lassù? E perché? E devono proprio essere così rumorosi?>

Così se ne esce Woody Allen, nel suo libro "Rivincite", e con il suo solito umorismo ineguagliabile, riesce comunque a farci riflettere. Infatti come dirà Henri Bergson
ne "Il riso", la battuta sospende il legame simpatico (da "sympatheia", cioè "patire assieme") che abbiamo con le cose, ma allo stesso tempo ce lo fa notare meglio, come allontanare una scritta per poterla mettere meglio a fuoco. Così si manifesta uno scontro millenario, forse destinato all'eternità, tra il pensiero filosofico e quello quotidiano.
Al di là dei lunghissimi discorsi che si potrebbero fare, le domande all'ordine del giorno sono tendenzialmente queste:

Quanto è inutile e complicato mettersi a riflettere sull'anima, sulla generazione dell'universo, sulle ipostasi dell'Uno e simili astrazioni... 
Questo stranamente lo affermò già un filosofo e scrittore francese, Albert Camus, che apre "Il mito di Sisifo" con queste parole: <Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto (se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie) viene dopo. Questi sono giochi: prima bisogna rispondere>.
I filosofi hanno tutti la testa tra le nuvole, non hanno contatto con la realtà! 
E questo è vero, infatti Socrate soffriva spesso di atopia ("a-topos", cioè "senza luogo"), che non ha nulla a che fare con la malattia genetica a cui viene oggi associato il termine, ma che descrive uno stato di distacco momentaneo della mente dal corpo, appunto un lasciar perdere le cose materiali. Ma il filosofo non lo fa per fuggire dalla moglie arrabbiata o dalle bollette da pagare, lo fa per riflettere. Sembra banale, ma nel vivere quotidiano, non si mette mai in pausa la propria vita per contemplare noi stessi, quelli che abbiamo attorno, i valori morali, la politica... Si possono passare mesi, anni e forse anche l'intera vita a guardasi allo specchio senza capire di chi sia il volto riflesso, a votare senza saper dire che cosa sia la giustizia, ad insegnare ai giovani senza essersi mai messi nei loro panni, ad ascoltare la voce più forte senza saperla giudicare. Il distacco dal mondo è un allargamento dell' angolo con cui si osserva il mondo.
Si può vivere benissimo anche senza aver mai letto un libro di Platone, anzi forse anche meglio!!
Infatti ognuno vive a suo modo i propri interessi e le proprie passioni. "Filosofia" vuol dire "amore per la sapienza", ed è alla portata di tutti sapere che l'amore è una cosa misteriosa, talvolta folle, che l'amante difende con tutte le forze, che può dare senso ad un'esistenza. Ma non tutti amano la stessa cosa, c'è chi ama la matematica, chi ama giocare al proprio sport preferito, chi ama suonare uno strumento, chi ama guadagnare, e chi non ama niente. Questi ultimi sono il vero problema, come dirà Dante l'ignavo è anche peggio del dannato, perchè non prende mai una decisione, è un involucro vuoto, un'ombra che si cela nel buio. Platone, nel "Timeo", parla del "pentimento" per i nati filosofi che si rifiutano di seguire la loro indole, come appunto ci si pente dopo aver tradito l'amore della propria vita. Allo stesso tempo però parla di un "gioco moderato e ragionevole" per chi con questa passione non è nato. 

Penso sia d'obbligo concludere con una delle più famose citazioni di Aristotele del "Protrettico": 
<Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.>






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