Perchè fumare?
Fumare una sigaretta dopo pranzo… Sentire i propri alveoli
supplicare ancora un po’ di quel dolce catrame… C’è forse un po’ troppo
contrasto tra la bellezza del gesto e le ripercussioni mediche, quindi forse vale
la pena chiedersi: perché fumare?
Parlo da fumatore e so per certo quanto sia difficile
spiegare ad ognuno di quegli occasionali salutisti integralisti la mia
situazione. Innanzi tutto perché chi giudica da fuori pretende di avere
conoscenze specifiche senza alcun diritto: “Il fumo fa venire il cancro dici?
Quindi hai una laurea in medicina, o non sai neanche cosa sia una neoplasia dei
carcinomi?”. Oltre a ciò il problema è che in effetti non so perché fumo. Forse
fumo perché “non voglio non fumare”, ma cosa vuol dire? E’ retorica, parole al
vento, dico in modo diverso che fumo perché ne ho voglia, ma spesso e
volentieri le mie spiegazioni ricadono in giochi di parole o controsensi
logici. Cerchiamo di uscire da questa spirale e vediamo di dare una spiegazione
ragionevole.
Si fuma in due modi principali: o in modo intenzionale,
oppure in modo passivo, cioè o con coscienza o senza accorgersene nemmeno.
Vediamo prima il modo passivo.
Il fumatore passivo
L’inconscio
Un modo passivo di fumare è ad esempio legato alla sfera
dell’inconscio, cioè a tutte quelle cose che facciamo senza pensarci su e che
rimandano a vecchi ricordi o desideri nascosti nel profondo. Pare che il filtro
della sigaretta ricordi il seno materno, dunque fumare potrebbe rispondere ad
una sorta di voler tornare bambini, o, per chi ha qualche nozione di
psicanalisi freudiana, una regressione alla fase orale dello sviluppo sessuale.
Un altro esempio di fumatore passivo-inconscio è legato al masochismo. Infatti
il momento in cui il fumo riempie i nostri polmoni, e che porta a tossire, ha
un nome medico specifico: soffocamento. Alcuni fumatori dicono di amare quella
sensazione, ma questo significherebbe amare un momento biologicamente
svantaggioso, che non è del tutto una contraddizione. Se ci atteniamo sempre
alla teoria freudiana, possiamo legare questo fatto alla sessualità, legando
dolore fisico e erotismo. Faccio un esempio del mondo della natura, giusto per
zittire tutti quei geni che parlano di una legge di natura invalicabile (sì, è
anche diretto a voi sostenitori del family day…): la femmina del Lycosidae
tarantola è un ragno che, durante l’atto riproduttivo può mangiare il maschio
per aumentare le possibilità di fecondazione, l’atto sessuale è strettamente
legato al dolore del cannibalismo. Orrore della natura? Errore di Dio? O
semplicemente un’uscita andata male? Comunque sia, per chi come me è
terrorizzato dai ragni, significa un mostriciattolo peloso in meno di cui aver
paura.
La dipendenza biologica
Oltre allo stato passivo-inconscio, possiamo parlare di un
primo tipo di dipendenza, quella biologica. E’ sempre passiva, in quanto non
siamo consci di quello che sta accadendo a livello biologico nel nostro
cervello, e per chi pensa che non ci sia dipendenza biologica si dia una
lettura alla ricerca dello Scripps Research Institute pubblicata su Nature nel
2010.
Il condizionamento: società e cultura
Quasi tutti noi fumatori abbiamo iniziato per
condizionamento, ce lo dicono sempre quando ci criticano: “Volevi fare il figo
con gli amici”, “Volevi sembrare più grande”… Ma il meccanismo in cui siamo
ricaduti è qualcosa di più grande. E’ qualcosa di strettamente legato
all’immagine, all’apparire in un certo modo davanti agli altri e a se stessi,
un riconoscersi come uno che fuma. Il condizionamento può essere sociale: ad
esempio sono ad una festa e io sono l’unico che non fuma. Mi sento in qualche
modo impertinente rispetto al contesto in cui sono, cioè non sono pertinente
all’ambiente dei fumatori, quindi colgo questa esclusione implicita, cioè non
fisicamente dichiarata dalla società e mi adeguo. A tutti quelli che diranno
“Ma sei debole se ti sottometti subito così! Devi imporre la tua personalità!”
io risponderei: “Perché non vai in giro nudo? Forse perché anche tu ti
sentiresti fuori luogo in questo modo in mezzo alla gente? Allora vedi che
anche tu ti comporti ogni giorno in quello stesso modo che stai criticando?”.
Noi siamo fatti così, ci adattiamo, siamo duttili, prendiamo un sacco di
decisioni in modo passivo, come anche solo sederci in un certo modo, camminare
piano in una mostra, applaudire a fine di un concerto, urlare solo in certe
situazioni, vestirci in modo prevedibile, tagliarci i capelli alla moda, avere
quel cellulare… Essendo tutti questi condizionamenti sociali impliciti, nessuno
ti dirà mai a voce “Fuma una sigaretta!” (perché vedremo che questo è un modo
intenzionale di fumare), è quindi possibile incappare in errore perché magari pensavo
che la società mi stesse dicendo una cosa, ma in realtà me la sono solo immaginata.
Ad esempio se siamo in questa festa di fumatori e io, non-fumatore
integralista, mi accendo una sigaretta per condizionamento, è possibile che
qualcuno ne rimanga colpito, quindi anziché adeguarmi, vengo escluso. Nessun
problema, la parte noiosa è finita...
Il fumatore intenzionale
La curiosità
Si può iniziare per curiosità, senza nessuno che spinga, con
la piena coscienza delle proprie azioni. Magari hai 40 anni, sei in giro per
commissioni e, passando davanti al tabaccaio, oltre alla schedina e al caffè
decidi di prendere anche un pacchetto di Marlboro Gold, e nel tornare in
macchina te ne accendi una, giusto per provare, per vedere com’è, perché in
tutti questi anni non lo hai mai fatto. Molti diranno “Posso morire anche senza
provarlo…”. Giusto, ma noi siamo fatti così, quando non siamo troppo
indaffarati tendiamo ad incuriosirci su tutto e tutti, tendiamo a farlo in modo
superficiale, meravigliandoci per tutto, ed è esattamente il motivo per cui
state leggendo questo blog, per curiosità, per scoprire qualcosa in modo
tranquillo.
La dipendenza psicologica
Questo forse è il carattere più gettonato, il più
conosciuto, il più discusso dei fumatori. Essere psicologicamente dipendente
dalle sigarette vuol dire non poterne più fare a meno per motivi mentali, perché
se non fumo mi stresso, mi innervosisco, divento scontroso, mentre se fumo mi
rilasso, sto meglio e poi sono più tranquillo con tutti. Non c’è in gioco
nessuno spasmo, nessuna perdita di sensi, nessuna emicrania, nausea, febbre…
Solo una chiamata, un prurito che solo il fumo può estinguere. E’ comunque
intenzionale, perché vedo su questo stesso piano il comportamento di un serial
killer. Gli omicidi seriali sono psicologicamente dipendenti da certi modus
operandi, devono rispondere al bisogno mentale di uccidere e farlo in un certo
modo. Se fosse un modo assolutamente passivo, sarebbe illegittimo condannarli a
prigionia (o nei casi più estremi purtroppo anche a pena di morte), perché avrebbe
agito senza capacità di intendere e di volere.
La noia
Il fumatore può essere anche occasionale, e lo è quando fuma
solo per uno specifico e momentaneo tornaconto personale. Quando c’è una sfida,
c’è la possibilità di perdere o di vincere. Può esserci gettata da amici,
quindi fumiamo per non sembrare troppo deboli e per dimostrarci all’altezza.
Può esserci però anche gettata dalla noia. Infatti spesso i fumatori fumano per
combattere la noia, il silenzio, lo stare con se stessi. Fumare è un atto
orribile, anti estetico, che uccide, invecchia la pelle, ingiallisce unghie e
denti, sgretola le corde vocali, occlude i nostri alveoli, abbassa di molto la
stima di vita personale e dei figli, ci rende più instabili psicologicamente perchè
siamo più scorbutici se non fumiamo, quindi siamo più deboli… Ma tutto questo
passa assolutamente in secondo piano quando il fumo può fare una cosa così
grande come combattere la noia. Oggi tutti la combattiamo, con uno stile di
vita materialistico, con lo sport, con i cellulari, la dieta, i programmi della
domenica, la musica alla moda, i libri da autogrill, l’egocentrismo, le belle
macchine, gli antidepressivi… Così tutti abbiamo le nostre dipendenze, perché tutti
abbiamo la stessa infinita debolezza di fondo: nessuno sa stare veramente da
solo, davanti al nulla offerto dalla propria noia.
Fa sempre piacere leggere qualcosa di ben scritto, stimolante e riflesso.
RispondiEliminaPenso che la maggior parte di noi faccia parte di quella sfilza di fumatori passivi che arricchiscono il fisco e multinazionali. Radical-chicchismi a parte (voglio il mio neologismo esaminato dall'Accademia della crusca), penso valga la pena di tirare fuori il buon vecchio Zoja, che in Nascere non basta, Raffaello Cortina Editore, 2003, affronta il tema della dipendenza da stupefacenti come una modalità che l'individuo senza radici sociali e affettive può utilizzare per acquisire un ruolo nei confronti della società, quindi del mondo esterno, ma anche agli occhi di sè stesso.
La ritualità della sigaretta (classica quella dopo pranzo), pone un "checkpoint", un momento ben chiaro della giornata nel quale il dipendente può morire (o comunque lesionarsi) e rinascere, rigenerarsi, come un lavarsi tutto via. È ben chiaro quindi il ruole dell'autolesionismo in un'ottica di miglioramento di sé.
Inoltre, vedo l'unico modo di distinguere tra fumatore intenzionale e passivo identificando la dipendenza psicologica come qualcosa che possa tenere sveglia la mente tramite quel "prurito" di cui parlavi. L'individuo può sentirsi vivo in questo modo, rendersi conto che la sua mente gli comunicherà qualcosa prima o poi, per quanto sia un messaggio fittizio.
Fumando, il fumatore può anche così soddisfare appunto quell'immagine stereotipata di cui parlavi che il consumismo offre da sempre.
Penso al Mac Baren, conosciuto più comunemente come "senza nome" per via di nessun brand particolare associato ad esso. Essa è una linea di tabacchi che, sulle proprie buste di tabacco, fa un discorso su come sia importante non porsi come qualcuno o qualcosa nei confronti della società, sfanculare tutti i modelli di virilità che gli altri brand cercano di attribuire al fumatore. Facendo questo, come spiegava Pasolini nell'articolo sui "capelloni", l'anticonformismo si risolve in conformismo, creando quello che vediamo tutti i giorni nella nostra società, gruppi d'appartenenza etichettati per specifiche caratteristiche (soprattutto) estetiche.
È per questi motivi che penso che in realtà non esistano fumatori intenzionali. Quando uno si lascia trascinare (dalla società, da sè stesso, da un bisogno fisico, ecc.), è comunque passivo. Anche quando uno desidera smettere e continua a fumare cosciente di quello che sta facendo, in realtà, rimane un soggetto passivo, perchè non riesce ad agire contro un impulso che il proprio corpo dà.
Ok, ora posso tornare a dormire.
Ciao,
EliminaGrazie per il tuo pensiero. Apprezzo il pensiero di Zoja, è molto simile a quello proposto nel post. Mi piacerebbe molto se potessi spiegare meglio quando dici:
"La ritualità della sigaretta (classica quella dopo pranzo), pone un "checkpoint", un momento ben chiaro della giornata nel quale il dipendente può morire (o comunque lesionarsi) e rinascere, rigenerarsi, come un lavarsi tutto via. È ben chiaro quindi il ruole dell'autolesionismo in un'ottica di miglioramento di sé."
Nom ho capito bene in oltre se pensi che non si possa distinguere tra fumatore passivo e attivo (come concludi) o no (come dici più sopra, dicendo che la dipendenza psicologia distingue --> ma come?). Ti posso dire che ho interpretato il binomio passivo-intenzionale come inconscio-conscio. Quindi la differenza sta tra quando fumo senza avere lucidamente comprensione del perchè lo sto facendo (fumo ad una festa con gli amici, ma perchè?), e tra avercela ben presente (magari ti accendi una sigaretta per far colpo su una ragazza, o perchè non vuoi deludere il tuo amico che ti ha sfidato a farlo). Se pensi che sia tutto passivo, devi dimostrare innanzitutto che in questi due ultimi esempi siano in atto quasi solo forze inconscie.
Mi hai fatto venire in mente che avrei potuto scrivere su tutti quei messaggi subliminali e quel condizionamento che la pubblicità, i film e il sapere comune determinavano... magari in un prossimo post.