giovedì 24 gennaio 2019

Isidoro di Siviglia: capire le parole della musica

Sarò sincero: scrivere due pagine sui capitoli dedicati alla musica delle Etimologie di S. Isidoro di Siviglia non può che giovare alla rete, satura di argomentazioni imparziali e confusionarie. Dal sapore un po’ pretenzioso, questo inciso non vuole apologeticamente fondare la supremazia di quello che andrò per scrivere, quanto esortare il lettore a vagliare criticamente ciò che si legge tra le prime proposte di Google e, soprattutto, sfogarmi di quanto ho avuto la pena di leggere in questi giorni. Dato il contesto non entrerò nello specifico di nessuna questione, ma spero che questo breve post possa servire a chiunque voglia almeno le linee generali del pensiero musicale di Isidoro di Siviglia, almeno per come ce lo ha presentato nelle Etimologie.

Due indicazioni
L’Etimologie o Origini (Etymologiarum sive Originarum libri xx) di Isidoro (556/571-4 aprile 636) è un’opera enciclopedica, forse la più famosa del vescovo di Siviglia (dal 599), ed è un’importantissima tappa della filosofia sulla musica cristiana dell’età Tardo Antica, che comprende pochi altri autori fondamentali, tra cui Agostino, Boezio e Cassiodoro. Questo libro (piuttosto voluminoso, pubblicato in due grossi volumi in una traduzione italiana a cura di A.V. Canale, Utet, 2004) è molto simile alle Istituzioni di Cassiodoro e alle Nozze di Filologia e Mercurio di Marziano Capella: questi libri condividono, per così dire, il senso tragico della fine della cultura a cui appartengono e, pro viribus, vogliono salvare e ritrasmettere quello che possono. C’è in essi questo senso di ansia, di dramma, che possono capire solo le generazioni che vedono il proprio mondo lentamente svanire. Il mondo classico latino ormai è tramontato e gli uomini di cultura sanno bene che non regnerà per sempre la notte, prima o poi sorgerà un nuovo giorno, ma cosa illuminerà il sole? Le devastazioni dei barbari per le province dell’impero? Le eresie cristiane che nascono dagli eccessi elucubrativi dei filosofi? No. Questi autori vogliono un mondo nuovo e non dimentico delle bellezze intellettuali del passato, e si adoperano per compilare all’interno di “schedari del sapere”, le arti liberali, tutto ciò che potevano reperire sul mondo antico, cercando però anche una sinergia con le Sacre Scritture. Per questo Isidoro scrive le Etimologie, compendio estremamente efficace di grammatica, retorica, dialettica (trivio), matematica, geometria, musica, astronomia (quadrivio) e tanto altro…

Rapporto tra religione e filosofia
Questa è la visione più accreditata e forse più romantica del Tardo Antico, ma possiamo anche ipotizzare ci siano dei caratteri che non vennero persi per strada nel passaggio dall’Antichità al Medioevo, come l’egoismo, il gioco politico come polemos e la conoscenza come strumento di potere. Se si approfondisce la questione, ad esempio, si può sostenere che le opere scientifiche di Severino Boezio siano state composte non tanto per salvare la cultura pagana, quanto per avvicinarsi ai favori di Teodorico re dei Goti. Sintetizzando, queste opere non sono un fine in sé, ma mezzi per fini specifici che risiedono in giochi di potere, più o meno palesi.

Così le Etimologie di Isidoro, Santo e Dottore della Chiesa Cattolica, si stagliano entro il contesto del IV concilio di Toledo (633), presieduto da Isidoro stesso, che aveva lo scopo di uniformare dottrina e liturgia in tutta la Spagna e il sud della Francia. Se le già citate Istituzioni di Cassiodoro si rivolgevano ai soli monaci del Vivarium come testo di studio di riferimento, le Etimologie sono invece state scritte per tutti gli ecclesiastici e la classe dirigente di un regno. Forse proprio qui si trova il motivo per cui in Isidoro è molto meno evidente (per lo meno a me) la relazione tra potere dell’armonia e morale cristiana che in Cassiodoro (in cui “se noi viviamo virtuosamente siamo costantemente sottomessi alla sua disciplina [della musica], ma se noi commettiamo ingiustizia rimaniamo senza musica”). Più in generale il rapporto tra musica e religione è meglio presentato in un altro libro, il De ecclesistici officiis, in cui si leggono le definizioni di due forme canore liturgiche, l’antifona e il responsorio, mentre nelle Etimologie regna una certa sinergia, da non scambiare per confusione, tra Sacre Scritture e mondo pagano. Emblematico potrebbe essere l’inizio del paragrafo 3.XVI, in cui Isidoro spiega chi siano stati gli inventori della musica. Scrive:

“Mosé sostiene che creatore dell’arte musicale fu Tubal, della stirpe di Caino, vissuto prima del diluvio. I Greci sostengono invece che fu Pitagora a scoprire gli elementi costitutivi di tale arte ascoltando il rimbombare dei martelli ed il suono provocato percuotendo corde poste in tensione.”

Due mondi, due versioni, Tubal e Pitagora, che riescono in qualche modo a convivere senza che uno abbia il predominio sull’altro. In Cassiodoro è evidente il rapporto tra musica e religione, ma in Isidoro, che comunque si basa sulle Istituzioni, c’è una così alta densità di citazioni di autori pagani, soprattutto Virgilio, Ovidio e Giovenale, che i rimandi ai fatti dell’Antico Testamento (David e Saul, Tubal e il popolo giudeo) non dominano più di tanto sul discorso. Non si trovano da nessuna parte frasi come (invento) “la musica deve rispecchiare l’ordine del Creato” o “noi suoniamo per avvicinarci a Dio”. In Marziano Capella è evidente il percorso di ascesi (pagana) dal piano più blando e materiale, rappresentato ironicamente dalla grammatica (Capella era un avvocato), fino alla penetrazione delle ragioni di tutto l’universo, racchiuse nella sapienza ultima: la musica. In Isidoro la musica si trova più o meno a metà del percorso di studi, ma ciononostante conserva un’unicità sua propria, di antichissima tradizione, per cui addirittura “nulla esisterebbe senza la musica”, ma approfondiamo dopo questa frase.

Metodo etimologico
Si nota già da qui come Isidoro non sia un cieco e passivo lettore delle Sacre Scritture, ma che abbia un metodo d’indagine che è quasi superiore, o perlomeno che possa essere applicato “dall’alto” anche a queste. Esso può venire spiegato in questa maniera: le cose, il Creato, è conoscibile in quanto è elencato, catalogato e interpretato in forza del valore significante del linguaggio. C’è verità e possiamo coglierla se analizziamo etimologicamente una parola, se risaliamo al suo uso originario, che non è più storico, ma radicalmente fondativo. Un esempio: se io chiedessi “cos’è la musica?”, uno potrebbe dire “quei suoni che fanno ballare, consolare, piangere…”, uno che volesse colpire più l’attenzione invece direbbe “ciò che non è rumore”, “ciò che non è silenzio”, oppure la migliore di tutte sarebbe “ciò che ascolto con l’intenzione di ascoltare della musica”. Tutte risposte validissime, ma Isidoro ne propone un’altra quando scrive:

“Il termine «musica» trae origine dal nome delle Muse, così chiamate […] dall’atto del ricercare, poiché gli antichi ritenevano che fosse necessario il loro aiuto al momento di ricercare la forza espressiva da infondere nei carmi e la giusta modulazione della voce. La voce delle Muse, in quanto oggetto dei sensi, o svanisce con il trascorrere del tempo oppure si fissa nella memoria: proprio per questo, dunque, le stesse Muse sono state immaginate dai poeti figlie di Memoria e di Giove.” (3.I)

Ecco il metodo etimologico, che Isidoro spiega ad inizio trattato quanto parla del nome e del verbo:

“Il nome [Nomen] è stato chiamato quasi a dire notamen, ossia segno distintivo, perché, mediante il vocabulum, ossia lo strumento denominativo, attraverso il quale si manifesta, ci rende note le cose: se non conosci il nome [Nomen] viene meno la conoscenza delle cose stesse.” (3.VII)

e

“Con il termine verbum si designano le immagini mentali attraverso le quali gli uomini, conversando, esprimono i propri pensieri.” (3.VIII)

Non c’è possibilità di discussione, margini di analisi ulteriore, è uno stato dell’arte, un ordine da inviare a tutti i confini del regno di come le cose stiano: non solo la musica, ma qualsiasi cosa, la grammatica, la retorica, la medicina, le leggi, Dio, i cittadini, le parole che vengono usate, persino i deformi e i prodigi, gli animali, gli oceani, il cielo, i continenti, i luoghi di lavoro, i metalli, le piante, le armi, la palestra, gli scacchi, le navi, i vestiti, i cibi, le lampade, i letti… Tutto viene incasellato, descritto, fondato nella sua intima ed ultima essenza linguistica: Isidoro crea un mondo, non scrive solo un libro. Non che questo mondo sia perfetto ed ordinato come sperato, il rischio del metodo etimologico è banalmente quello di sbagliare etimologia, e non sono per niente rari casi simili. Un esempio: in 3.XXI Isidoro afferma che la tibia, uno strumento a fiato simile ad un doppio flauto con ancia singola o doppia, trovi il suo nome per via dell’originario metodo di costruzione, che ricavava lo strumento dalla lavorazione di ossi di cervi e muli, quando in realtà la questione è l’esatto contrario: il termine “tibia” era già da tempo tecnico per lo strumento e iniziò ad essere usato anche per indicare anche l’osso solo successivamente (in età imperiale).

Particolare raffigurante Atena che suona la tibia, ceramica a figure rosse, Taranto 375-350 a.C.

Piccolo cenno ai filosofi
Come vedeva i filosofi Isidoro? Alcuni male, come i cinici, i quali derivano il loro nome dai cani, con cui condividevano lo stile di vita (come il libero accoppiarsi in pubblico), o Epicuro, il filosofo più blasfemo e porco (“porcum nominaverunt”), altri invece bene come “i fisici” (termine con cui raggruppava tutti coloro che studiarono la natura, tra cui i musicisti), chiamati anche Teologi perché anticipatori del Dio cristiano:

“Costoro, venuti a conoscenza di un qualcosa che non era altro che Dio, non descrissero questo qualcosa così come lo avevano conosciuto perché si persero nelle proprie elucubrazioni: infatti, dicendosi sapienti sono divenuti stolti.” (8.VI).

Ecco il movente per trafugare la sapienza pagana, per cercare, tramite un “furto sacro”, una relazione fertile tra religione e filosofia, tra pensiero e fede.

Le definizioni di musica
Da quanto io abbia visto, la prima definizione di musica compare in 3.I:

“la musica è la disciplina che tratta delle relazioni numeriche riscontrabili nei suoni”

E più avanti, in 3.VIII specifica meglio:


“La differenza tra l’aritmetica, la geometria e la musica consiste nel modo in cui calcoli la medietà. […] In relazione alla musica: il termine medio è maggiore del primo termine secondo un rapporto equivalente a quello per cui è minore del secondo.”

Questo è forse il tema più antico della speculazione musicale, che risale a Pitagora, il primo secondo la tradizione ad aver scoperto la natura numerica dei suoni. Da qui potremmo parlare di qualsiasi cosa, perché è forse l’argomento che lega tutta quanta la trattatistica musicale medievale e rinascimentale, ma è interessante il rimando alla medietà, detta armonica. Questo tema inizia e conclude la teoria numerica dei suoni in Isidoro, infatti là dove riparlerà di argomenti aritmetici (3.XXIII) non fa che approfondire il tema della medietà armonica. Essa si calcola in questa maniera:


Ed è valida solo quando a = 2b o viceversa. Ad esempio, con a = 6 e b = 3 :




Il risultato è la media armonica tra 6 e 3, che non a caso costituisce il due rapporti 6 : 4 e 4 : 3, rappresentanti gli intervalli di V e IV, là dove 6 : 3 è l’VIII. 

“Questa proporzionalità razionale ed armonica, che regna nell’universo in conseguenza del movimento circolare dei cieli, esercita anche nel microcosmo un potere tanto grande, superiore a quello del canto stesso, che senza la sua perfezione neppure l’uomo, privo come sarebbe d’armonia, potrebbe esistere.”

È qui presente un tema importantissimo, che è il legame tra macrocosmo (“movimento circolare dei cieli”) e microcosmo (cioè nell’uomo, che ha in sé tutta la perfezione del creato). È il numero a mettere in relazione tutti gli aspetti del reale, come aveva insegnato Boezio nel suo De musica, parlando di musica strumentale, umana e celeste.

Ora si può capire l’asserto:

“Senza la musica nessuna disciplina può considerarsi perfetta: di fatto, senza la musica nulla esiste [nihil enim sine illa]. Per questo ad esempio si sostiene comunemente che il mondo stesso sia stato creato ordinatamente secondo una certa armonia di suoni, e che la stessa rivoluzione celeste avvenga all’interno di una modulazione armonica.”

Che risuona strettamente legato a quello delle Istituzioni di Casisodoro:

“Nulla nelle cose del cielo e di questa terra che sia compiuto secondo i piani del Creatore, può essere estraneo a questa disciplina.”

Le quali a loro volta sono adattamenti cristiani del pensiero platonico per come viene espresso soprattutto nel Timeo (34c-36d ma anche 80a-80b per il concetto di imitazione tra armonia terrestre e armonia divina). La musica è quindi scienza di tutte le scienze, punto di convergenza del mondo etico ed intellettuale, e tutto perché sono i numeri a poter collegare i suoni udibili con la nostra anima e con tutto l’universo, proprio quei numeri impressi da Dio per fare ordine nel cosmo.

Ma questa non è l’unica definizione che Isidoro dà della musica, è anzi forse quella più scontata e sicuramente meno originale (è presente infatti un po’ in tutti gli autori precedenti). Quella più celebre è presentata in 3.XV:

Musica est peritia modulationis sono contunque consistens.

“L’arte musicale consiste nella conoscenza profonda, acquisita con l’esperienza, della modulazione ed ha il proprio fondamento nel suono e nel canto.”

Segue poi la terza definizione già vista che ripercorre l’origine etimologica di Musica da Muse. Si noti come nella definizione sopra il termine “peritia” sia stato diligentemente tradotto da Canale con “conoscenza profonda, acquisita con l’esperienza”. 5 parole, così pesanti da dover ricevere un segno di punteggiatura in più, sono forse la soluzione migliore per sottolineare l’importanza di quel “peritia”. C’è una definizione famosissima della musica che condivide in un certo senso l’importanza di un termine molto simile. Agostino, nel De musica, scrive che:

Musica est scientia bene modulandi.

Anche qui l’accento va posto su quel “bene”, ma perché? Perché altrimenti la musica sarebbe solo arida aritmetica. La “peritia”, il “bene”, introduce un senso di indeterminatezza alla musica: cos’è la buona modulazione e chi la decide? Come si ottiene la conoscenza profonda e quale esperienza è richiesta? Queste parole aggiungono anche un valore morale alla musica: i suoni non sono solo calcoli, ma possono influenzare il nostro comportamento, in bene e in male. Scrive Isidoro (3.XVII):

“La musica muove le volontà trasformando la natura della percezione. Nelle battaglie il suono della tuba infiamma i combattenti, quanti più forte sarà stato lo squillo tanto più arditamente l’animo si lancerà nella lotta. Il canto incita i rematori, la musica accarezza dolcemente l’animo perché esso possa meglio sopportare le fatiche e la giusta modulazione della voce allevia la stanchezza che ogni lavoro procura.”

Questo legame con Agostino non è scontato, perché salta fuori in un altro passo. Quando Isidoro scrive che le Muse sono figlie di Memoria e di Giove prosegue dicendo:


“I suoni, infatti, se non sono trattenuti dall’uomo attraverso la facoltà della memoria, muoiono, poiché non possono essere fissati mediante la scrittura.”

La notazione
Questo è forse uno dei passi più famosi dell’opera, in quanto, oltre al rimando al tema del rapporto tra memoria e musica (che ricorda le trattazioni del De civitate Dei e del De musica agostiniano), contiene anche un’interessantissima annotazione per la semiografia: non esisteva ancora una notazione musicale, o, per lo meno, Isidoro non ne conosceva alcuna. Questo è un fatto assai strano, perché Boezio aveva proposto vari modi per scrivere le note. Uno era quello greco, che dava ad ogni nota un nome scritto per esteso:



Un altro usava dei simboli specifici per semplificare la scrittura:


 E un ultimo che associa ad ogni nota una lettera dell’alfabeto latino: 

Tecnicamente ne esisteva anche un quarto, non pervenutoci, che Boezio afferma essere stato pensato da un teorico della musica di nome Albino, il quale (DM, 1.XXVI): 

“propose di adottare termini latini <in luogo di quelli greci>, e chiamò principales le hypatemedias le meseconiunctas le symmenedisiunctasle diezgmeneexcellentes le hyperbolee.”

La domanda che molti si sono posti è: come mai Isidoro non considerò minimamente queste notazioni (che tra l’altro non erano sicuramente solo queste)? Un mio parere spassionato (molto probabilmente non corretto) è che Isidoro in realtà non conoscesse granché della scientia bene modulandie si limitò a fare da epitomatore delle Istituzioni di Cassiodoro (che non citano mai Boezio), là dove avrebbe potuto anche considerare il De musica boeziano per approfondire meglio i temi più scientifici. D’altronde Isidoro non era e non poteva essere erudito su tutto: si pensi solo che nel capitolo dedicato alla geometria, la disciplina per cui Euclide aveva dedicato gran parte della sua vita, non fa altro che citare i nomi di alcune figure, senza accennare ad alcun teorema o assioma. Poco male, da questa probabile scarsità di fonti è nata una trattazione originalissima della musica, in cui è contenuto il suo valore inestimabile.

Corrispondenza tra vox sonus
In questa ultima definizione della musica (“L’arte musicale consiste nella conoscenza profonda, acquisita con l’esperienza, della modulazione ed ha il proprio fondamento nel suono e nel canto.”) Isidoro fa un passo di straordinaria importanza per la riflessione musicale: parla finalmente di suono e canto. Sembra un affare scontato, ma in realtà se prendiamo il De musica di Agostino o di Boezio non troveremo una riga che parli di alcun tipo di pratiche vocali, e poter leggere una frase del genere significa essersi ormai avviati per una analogia concreta tra vox (= pratica canora) e sonus (= oggetto matematico studiato dai greci), quindi per una via che porta all’Ars Nova, come ad esempio la troveremo in trattati futuri, come l’Alia musica, il Dialogus de musica dello Pseudo-Oddone, il Musica enchiriadis (tutti e tre del X sec.) via via finalmente fino a Guido d’Arezzo (c991 – dopo il 1033). 

Il germe di questa compenetrazione tra canto e suono la si ha in realtà già con Calcidio (V-IV sec. a.C.), nel suo Commento alla prima parte del Timeo di Platone (non a caso il testo di teoria musicale più letto dalla scuola di Chartres), in cui propone una prima possibile correlazione tra la struttura matematica degli intervalli musicali e i parametri delle altezze intervallari della voce umana nel canto. Non mi dilungo troppo riassumendo il pensiero di Calcidio, ma è rilevante la sua attenzione nel voler agganciare il cantus alla scientia harmonica, cogliendo innanzitutto le somiglianze tra il canto e il parlato, dando le basi per la costituzione di una vera e propria ars musica e non solo una scientia modulandi. Per parlare nel concreto, pare (stando alle Epistoledi Papa Silvestro II) che le canne d’organo del X secolo fossero intonate basandosi sulla scala calcidiana, corrispondente ad una nostra scala di Do Maggiore (T-T-S-T-T-T-S) ma caratterizzata da rapporti numerici molto diversi dai nostri (per via del temperamento equabile): 

432 – 384 – 364,5 – 324 – 288 – 256 – 243 – 216 – 192
Le tripartizioni
Un altro tema celebre della teorizzazione musicale di Isidoro sono le due tripartizioni della musica che propone. La prima è alquanto tradizionale e vede tre “parti” della musica: 1) armonica: “distingue tra differenti suoni l’acuto ed il grave” (3.XVIII) ed è praticata da coloro che usano la propria voce, come i teatranti, coristi e solisti; 2) ritmica: “esamina l’incontro delle parole per stabilire se un determinato suono si accompagni ad esse bene o male” (Ibid.); 3) metrica: “studia la misura dei differenti metri sulla base di un sistema di rapporti gradevoli, come ad esempio il verso eroico, il verso giamblico, l’elegiaco ed altri.” (Ibid.). Già Marziano Capella aveva tripartito il melos (armonica) dal numeus (ritmica) e dal verbum (metrica), e Agostino aveva posto l’accento soprattutto sulla differenza tra ritmica e metrica. Entrambi questi autori confluirono poi nelle Istituzioni di Cassiodoro, che abbiamo detto essere stato il libro di riferimento di Isidoro.

La seconda tripartizione è il frutto di quell’analogia tra voxsonusche abbiamo riassunto sopra, cioè di quella nuova sensibilità verso la musica volta alla costruzione di uno spazio sonoro non solo fisico e numerico, ma finalmente fenomenico. Le note iniziano ad avere una durata, un’altezza e un timbro e risulta necessario iniziare a catalogarle in quanto tali. Isidoro non parla qui di “parti” della musica, ma di una “triforme suddivisione della musica”.

Armonica
La prima è la musica armonica, basata sulle melodie vocali, quindi dell’uso della gola. C’è un movimento iniziale dello spirito che muove a sua volta il corpo, il quale genera infine la voce: “la voce è aria verberata, cioè percossa, dal respiro” (3.XX). Il termine armonica però, seguendo la tradizione greca, non indica solo l’andamento di una voce singola, ma anche l’emissione contemporanea di più suoni: un accordo. Un accordo può essere di due tipi fondamentali: c’è sinfonia quando la voce acuta e la voce grave non offendono l’udito; c’è diafonia quando invece sono dissonanti. Interessante il significato del termine “diesis”, che Isidoro spiega in vari modi tra cui “la tensione che porta un suono a risolversi su un altro” (che è un’interessante annotazione fenomenologica), e quello di canto (“cantus”), che indica l’andamento ricurvo della voce, che ha un’arsi, cioè un’elevazione con l’inizio del canto, e una tesi, cioè un abbassamento della voce stessa. Si confronti questa descrizione con i toni salmodici, che presentano tutti proprio quest’andamento curvo. Qui sotto il II tono tratto dal Liber Usualis:


Isidoro spinge talmente in là la sua indagine lessicologica dell’oggetto sonoro da espandere la terminologia musicale, aggiungendo parole all’estetica dei suoni: la voce è soave, perspicua, limpida, sottile, pingue, acuta, dura, aspra, cieca, vinnola, carezzevole e perfetta. 

Organica
La seconda forma di musica è quella organica, cioè quella che “riguarda gli strumenti che, riempiti da un soffio di aria, quasi prendono vita, producendo un suono che è la loro voce”. Questi strumenti vengono generalmente chiamati “organo” dai latini, anche se i greci chiamavano in questo modo anche dei particolari strumenti idraulici (hydraulis, invenzione attribuita a Ctesibio d’Alessandira, III sec. a.C.). Tra gli strumenti “a fiato” Isidoro elenca e spiega nell’etimo: la tuba, le tibie, il calamo, la fistula, la sambuca e il pandorio.

Ritmica
Questa è la forma più approfondita da Isidoro, e riguarda le corde di budello e la percussione. Il primo strumento ad essere analizzato è la cetra, forse la regina dell’organologia antica: la cetra pare sia stata inventata o da Tubal o da Apollo (riecco il sincretismo tra mondo cristiano e pagano), e la sua forma doveva ricordare quella del petto d’un uomo, perché come la voce usciva dal petto, così il suono può sprigionarsi dalla cassa di risonanza dello strumento. Non a caso in lingua dorica “citara” significa “petto”. Dalla cetra originaria ebbero origine tutta una serie di differenti modelli, come il salterio, la lira, il barbiton, la fenicia, la pectis e l’indica, uno strumento che poteva essere suonato solo da due strumentisti, la cetra barbarica, con il corpo a forma di delta greca. L’antica cetra aveva sette corde sia per poter coprire l’intera estensione della voce che perché sette sono i pianeti (ritorna il legame tra macrocosmo e microcosmo), e il salterio ebraico ne aveva dieci perché dieci sono i comandamenti. Procede con la mitica scoperta della lira da parte di Mercurio, il quale decide di donarla ad Orfeo, “che più di ogni altro amava tali cose” e che legò a sé non solo gli animali, ma anche le pietre e gli alberi. Infine, conclude con un rapido excursus degli strumenti “a percussione”: timpano, sinfonia, cimbali, sistro e tintinballo. Il timpano (“Tympanum”) viene così brevemente descritto:


“Il timpano è fatto di pelle o cuoio tesi su una sola delle due facce di un cilindro di legno: è infatti la metà di una sinfonia ed ha la forma di un setaccio […] il timpano deriva il proprio nome appunto dall’essere una metà: per questa ragione è detto anche margaritum medium, cioè, propriamente, mezza perla. Come la sinfonia, anche il timpano si percuote con una bacchetta.”

Musica Isidori 
L’attenzione verso le componenti qualitative del fenomeno sonoro differenzia Isidoro da autori quali Agostino e Boezio, ma non impedì una rilettura di tematiche speculative, come la dottrina neoplatonica dell’anima del mondo. Il già accennato Timeo comprende questa teoria, per cui il Demiurgo, durante l’atto creativo, decide di “organizzare” l’anima del mondo secondo rapporti matematici che andrebbero a costituire una scala diatonica maggiore (i greci l’avrebbero chiamata specie d’ottava diatonica del IV tipo, o al massimo tono lidio; mentre i bassomedievali avrebbero parlato di modo ionico), come quella analizzata da Calcidio (v. supra). Questo è quello che accade nella cosiddetta Musica Isidori, un testo strettamente connesso alla tradizione manoscritta delle Etimologie che contiene delle annotazioni esplicative e qualche interessante diagramma tra la parte dedicata alla geometria e quella dedicata alla musica. La più complessa delle figure (PL 82 pag. 441) si riferisce proprio alla serie dei numeri dell’anima del mondo, ma la sua particolarità risiede nella scala che costruisce: l’anonimo autore della Musica Isidori ha infatti sostituito la scala strumentale greca (calcidiana) con una scala vocale riconducibile all’antico repertorio ispanico di canti liturgici, adattando la teoria pitagorica secondo cui tutto è numero ad una concreta gamma vocale. Infatti, la sequenza intervallare T – S – T – T – S – T [- T] traccia una scala “minore armonica”, ben diversa dalla maggiore di Calcidio.



Questo modo di adattare la teoria antica (sonus) alla prassi esecutiva del tempo (vox) talvolta storpiando di molto il pensiero originario sarà “tipico” dei secoli della rinascenza carolingia (IX-X sec.), e lo si farà ad esempio con la teoria modale boeziana. Il Musica Isidori è stato oggetto di recenti studi, soprattutto da parte di Michel Huglo: v. 1) Michel Huglo, “Les diagrammes d’harmonique Interpolés Dans les manuscripts hispaniques de la musica Isidori”, Scriptorium48 (1994) 171–86; e anche 2) Michel Huglo, “The diagrams interpolated into the Musica Isidoriand the scale of old Hispanic chant”, Western plainchant in the first millennium: Studies in the medieval liturgy and its music, ed by Sean Gallagher, James Haar, John Nádas, and Timothy Striplin (Adelshot: Ashgate, 2003) 243–59.

RB


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