sabato 13 ottobre 2018

Musica humana e scuola musicologica bolognese


Scorcio tratto da Msc. Class. 5, 2r, Staatsbibliothek Bamberg, rappresentante le quattro scienze quadriviali personificate: al centro le più importanti, matematica e geometria, spalleggiate dalle rispettive "rese" nel mondo reale, cioè musica e astronomia.


Il De musica (1) di Severino Boezio è un'opera giovanile composta tra il 500 e il 507 d.C da un romano poco più che ventenne, orfano e sconvolto dalla conquista dell'Italia da parte dei barbari di Odoacre e Teodorico. Nonostante il drammatico momento storico che stava vivendo, cioè la caduta dell'Impero romano d'Occidente, nel De musica Boezio non fa che parlare dell'ordine, matematico e meraviglioso, dell'universo. Un signore di 1500 anni fa, senza luce elettrica né penna a sfera, nel pieno della dissoluzione del mito dell'Impero e in una regione, la penisola italica, che vedeva praticamente ogni giorno devastazioni e turpi vessazioni sul proprio popolo, continuava a scrivere, nella penombra della propria candela, che il mondo è ordinato e razionale. Quasi ironicamente, ora che abbiamo elettricità e penne a sfera non facciamo che dire che il mondo è caotico e irrazionale.

Uno dei temi più interessanti del De musica è quello della così detta musica humana. Boezio la definisce solo in poche righe, promettendo che prima o poi ritornerà sull'argomento (cosa che in realtà non farà): 
"La musica umana, poi, la percepisce chiunque discenda in se stesso. Che cosa è infatti che associa al corpo quella incorporea vivacità del pensiero se non una certa combinazione, un equilibrato rapporto tra voci gravi e acute a realizzare una consonanza? Che altro c'è che congiunge tra loro le parti di una stessa anima, la quale, come vuole Aristotele, è informata da razionale e irrazionale? E che cosa è che mischia gli elementi del corpo o che congiunge le sue parti con valido adattamento?"
Boezio fa domande, quasi come se stesse parlando di qualcosa di assolutamente scontato per lui. La versione latina è un continuo "Quid est...?" questo e "Quid est...?" quello, ma alla fine questo quid non viene chiarito abbastanza al lettore. Nella definizione che ci rimane possiamo individuare 4 punti fondamentali: il primo è di carattere epistemologico, cioè concerne la teoria della conoscenza, perché ci dice che la musica umana "la percepisce chiunque discenda in se stesso" ("quisquis in sese ipsum descendit intellegit"). Tema agostiniano par exellence, forse qui Boezio ci vuole ribadire l'ovvietà di un tema di questo tipo: è un po' come se volesse dirci "chiunque si accorge intuitivamente di una banalità simile". Se c'è una cosa che ho imparato dopo anni di studi filosofici è che anche le banalità hanno le loro ragioni, quindi una cosa scontata in realtà nasconde dei preconcetti precisi. Quello di Boezio è stato più volte citato prima e dopo questo passo, in punti differenti, in discorsi che centrano anche poco con quello della musica umana, proprio perché è un preconcetto scontato, considerato un prerequisito per chiunque: esso consiste nel fatto che "tutto il nostro organismo, anima e corpo, si basa sulla combinazione con la musica". E' proprio questo che viene approfondito nei 3 punti successivi della definizione supra che stavamo analizzando: come c'è equilibrato rapporto tra le voci acute e gravi del musico che suona la cetra mentre canta i suoi versi, così esso è presente 1) tra anima e corpo; 2) tra parti (o funzioni) dell'anima tra di loro ("razionale e irrazionale" (2)); 3) tra le varie membra del corpo. 

La stessa armonia (in greco ἁρμονικῆς, reso in latino coaptatio) che possiamo udire dal musicista, la possiamo percepire in noi stessi come perfetta combinazione delle singole parti del nostro corpo, della nostra psiche e delle loro reciproche combinazioni. Quest'associazione musica-psicologia-anatomia è alla base della medicina medievale, che vedeva la musica come strumento terapeutico per quei disturbi comportamentali che venivano letti come "malattie dell'anima". La moderna musicoterapia si basa proprio su questi principi.

Siamo comunque ben lontani dal poter capire cosa Boezio intendesse per musica umana. Quando una cosa è scontata per qualcuno, lo è per una complicatissima serie di cause: è scontata per le persone che mi stanno accanto, per i libri che leggo, per le cose che vedo in città, per le cose che mi ricordo o che ho imparato... Allora, per poter capire veramente cosa intendesse Boezio quando scriveva che c'è ordine nel corpo, nell'anima e tra di essi, dobbiamo ricostruire quella «bibliothéque intérieure» che fu il magazzino della sua memoria (3). Non è mai preferibile fare delle semplificazioni di questo tipo, ma su quest'idea potremmo dire che si basa la metodologia di molti musicologi attualmente attivi a Bologna. Franco Alberto Gallo (4), docente all'università di Bologna, ad esempio, spiega il suo concetto di "con-testo" in un articolo dedicato proprio alla tema della ricerca storica. All'interno dell'articolo, Gallo farà un bell'esempio:
"Per preparare alcuni corsi universitari, avevo cominciato a leggere molti romanzi cortesi dei secoli XIII e XIV, avevo approfondito la conoscenza di repertori musicali anteriori a Machaut, specialmente quello dei trovieri, ma avevo esteso le mie letture a numerosi altri testi dell’epoca: trattazioni filosofiche, cronache storiche, manuali di comportamento. Man mano che venivo accumulando queste nuove esperienze e ripensavo al Remede de Fortune, mi si andava scoprendo il senso di una infinità di particolari sia del testo sia delle musiche, i quali alla prima lettura avevo inteso differentemente o mi erano completamente sfuggiti. Incuriosito, mi misi quindi ad operare sistematicamente in una direzione che mirava non tanto a ricostruire il cosiddetto e generico “contesto” dell’opera di Machaut, quanto ad individuare con precisione storico-filologica il maggior numero possibile di “con-testi” verbali e musicali: vale a dire tutti quei testi verbali e musicali che stavano nella mente di Machaut e dei suoi ascoltatori insieme con il Remede de Fortune. Mi accorsi così che via via che procedevo nella lettura e assimilazione di tali con-testi, veniva raschiata via un po’ della mia originaria ingenuità di lettore, della mia lontananza dal testo, insomma, del mio essere un medievista e non un uomo del Medioevo, finché, ad un certo punto, mi parve che la mia recezione del Remede de Fortuneandasse recuperando la tinta che aveva quella degli ascoltatori diretti di Machaut, che risultasse, per così dire, ‘restaurata’"
Lo storico dunque, indipendentemente da cosa e che periodo stia studiando, deve cercare sempre di diventare anche un po' antropologo: esattamente come Malinowski si immergeva tra i Kula delle isole Trobiand (5), così un bravo storico, per Gallo, deve quasi paradossalmente poter partecipare ed osservare un mondo ormai scomparso.

Concludiamo con una delle più celebri frasi di Croce, proveniente da La storia come pensiero e come azione, che in tutto e per tutto è radicalmente contraria a quest'impostazione di Gallo:
"Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni." (6)




Note:
(1) Per le edizioni moderne: Boezio, Severino, De institutione musica, traduzione di Giovanni Marzi, Roma, 1990; anche Bower, M. Calvin, Fondamentals of Music: Anicius Manlius Severinus Boethius. Music Theory Translation Series, Yale Univ. 1989.
(2) De anima, 423A.
(3) Restani, Donatella, Le radici antropologiche dell’estetica boeziana, in Musica e storia, febbraio 2007, pag. 243-258.
(4) Per chi ne avesse mai avuto a che fare, il terzo volume della Storia della musica edt (ultima edizione 2011) è di Gallo. Insieme a Gallo, anche la sopracitata Donatella Restani insegna attualmente all'università di Bologna.
(5) Malinowski, Bronislaw, Argonauti del Pacifico occidentale, Bollati Boringhieri, 2011.
(6) Croce, Benedetto, La storia come pensiero e come azione, Bibliopolis, 2002.

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