venerdì 31 agosto 2018

Pensare la techno music


Non è un ossimoro? Pensare e techno? Si può davvero trarre un risultato che meriti lo sforzo? Perché no mi chiedo io.


Intendiamoci sui termini. La techno è un genere musicale del XX secolo nato nei dance clubs di Detroit. E' per lo più composta grazie a strumenti elettronici e inizialmente era un misto di Chicago house music, funk, hip-hop e electro. Il termine fu usato per la prima volta nel 1988 per descrivere alcuni Dj's di Detroit, che iniziavano a fare una musica molto semplice nella struttura e nel tempo: Kevin Saunderson, Juan Atkins, Derrick May e Eddie Fowlkes. Il termine presto venne usato anche per la musica più mainstream, fino a giungere agli anni '90, in cui ogni tipo di dance music che usasse sintetizzatori poteva definirsi "techno": dalla ambient techno, alla acid house, a certi tipi di dub reggae.



Dagli anni '90 il genere e il termine ha visto una storia lunga e variegata, troppo complessa da ripercorsi in poche parole, ma che è sicuramente segnata dalla diffusione per l'intero globo, fino a giungere ai giorni nostri. Può piacere, come non piacere, ma bisogna sicuramente riconoscerne la portata sociale ed economica. I dj's più famosi del momento muovono centinaia di migliaia di persone, il che significa capitali non da poco. Attraverso l'organizzazione in label, dalle majors alle indipendenti (alle etichette online!), un dj famoso può permettersi guadagni su più fronti, oltre che dalla vendita delle proprie canzoni (oggi fruttuose in modo molto diverso rispetto all'epoca dei vinili e delle radio). Sono veri e propri imprenditori, che sono riusciti a fare della propria passione un lavoro assolutamente remunerativo. 


Fatica a credersi? Prendiamo Richie Hawtin. Richie negli anni '90 era in prima linea a Detroit, ad organizzare una nuova scena rave (fa parte del II periodo), in cui partecipavano anche giovani bianchi di fuori città. Oggi gestisce una delle case discografiche techno più importanti al mondo, la M-nus Records, e dal 2012 organizza eventi ENTER., allo Space di Ibiza. Nel 2013 si è esibito al Guggenheim Museum di New York e nel 2015 gli è stata conferita una laurea ad honorem dall'Università di Huddersfield (Tecnologie musicali). Il suo spirito imprenditoriale è una risorsa che l'ha sicuramente aiutato ad emergere così violentemente: dall'estetica particolare con cui promuove progetti e spettacoli, alla produzione di strumenti elettronici professionali (Mixer Model 1), a bevande particolari, come l'Enter.Sake.




Il carattere antropologico

Ora che ci siamo intesi sui termini, possiamo fare un piccolo ragionamento sulla techno. Innanzitutto è un genere che nasce dalla dance music, quindi da certi ambienti sociali e per certi fini ben precisi. Se prima si ballava la musica funk in pista, ora si ascolta la techno, ma le cose non sono cambiate più di tanto. Sì, cambiano le mode, cambiano i tempi, ma la dance floor non cambia mai, è un luogo antropologico in cui lo sfogo è lecito, in cui si abbattono le barriere del vivere placido, in cui ci si inserisce in un gruppo che accetto e che mi accetta allo stesso tempo senza chiedere permesso. La dance floor è in ogni cultura, quindi in ogni luogo e in ogni tempo, dalle tribù aborigene del Madagascar alle corti parigine del '700. Questo in effetti è un carattere fondamentale del genere in questione, di tipo antropologico.

Il carattere estetico

La techno è caratterizzata da elementi semplici: 4/4, cassa dritta, Hi-hat in levare sono i tools necessari (e spesso sufficienti) a creare un ambiente techno confortevole. Voci, strumenti acustici, armonia e tema sono degli oggetti "in più", da usare col contagocce o comunque con grande accortezza per non far dimenticare mai l'ossatura cassa/hi-hat. 
Una cosa si può dire in poco tempo, un'intuizione: la musica techno si basa sulla ripetizione di un loop in maniera ossessiva. Ma non è finita qui. Per chiudere la cornice del concetto estetico di ripetizione (che dovrà poi accogliere la tela), non possiamo omettere il carattere dell'aspettativa. E' il 4/4 la nostra aspettativa: al cambio di battuta, ogni 4 battiti, può succedere qualcosa, una modifica sonora, e ce lo aspettiamo sicuro. Spesso i brani non cambiano così repentinamente, quindi bisogna aspettare 2, 4, 8, 16, 32... battute. Ed è proprio questo gioco di aspettative che fa della techno un genere vincente. Esse ci soddisfano quando ce le aspettiamo: come quando avviene un evento predetto, o qualcosa funziona esattamente come si era immaginato. Ecco, è quella sensazione di confort, di naturalezza, che si ritrova nella techno: carattere per altro presente un po' in tutta la musica, qui solo resa più palese. A tal riguardo si potrebbe approfondire il tema leggendo Differenza e Ripetizione di G. Deleuze, lettura consigliata dai compositori contemporanei.

Una proposta

Quello che si potrebbe quindi pensare, sempre se la fatica non sia ormai troppa, è il legame tra i due elementi antropologico ed estetico sopra esposti. Come convive l'elemento antropologico della dance floor con quello estetico della ripetizione? C'è un legame tra di loro? Se sì, che cosa determina?


Una rinnovata proposta

Per chi fosse interessato, cliccando sul link può trovare un'ottima top 10 techno track's del 2018 pubblicata dal blog di Clockbeats. Enjoy! 

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