Nel testamento di Franz Kafka possiamo leggere la richiesta
esplicita, rivolta all’amico Max Brod, di bruciare tutti i manoscritti delle
sue opere. Racconti, raccolte, collaborazioni, romanzi, diari, quaderni,
lettere e saggi di inestimabile valore sarebbero oggi nell’oblio più totale se
Brod non fuggì in Palestina con l’intero lascito durante l’invasione della
Cecoslovacchia nel 1939. Così iniziò la lunga e tortuosa vicenda delle lotte
ereditarie dei lavori kafkiani:
uno
scontro che vide in campo una famiglia israeliana, nonché università e archivi
tedeschi e palestinesi. I fatti si risolsero nel 2012, quando i manoscritti
furono ceduti alla Biblioteca nazionale di Israele. Ora sono liberamente consultabili, scagionati da combutte ereditarie, ma cosa penserebbe Kafka di
tutto ciò? Non era proprio il suo obbiettivo arrivare a ciò, possiamo quindi dire
che il caso, o una particolare concatenazione di eventi, ha permesso che oggi
chiunque possa leggere La Metamorfosi o Il Processo.
Il caso è interessante, perché è facilmente immaginabile una
deviazione della storia, per la quale il fidato amico Max Brod decide di
assecondare le ultime volontà del compagno e di alleggerirsi il carico per fuga
dai nazisti, bruciando tutti i manoscritti in un camino, dal primo all’ultimo. Il
solo pensiero fa male a chiunque abbia goduto dalle opere dello scrittore
boemo, ma le cose sarebbero comunque potute andare così, e nessuno oggi soffrirebbe veramente della mancanza. Franz Kafka sarebbe solo un vecchio
parente di una famiglia Ceca, ricordato dai propri cari, ma sicuramente non
ammirato ovunque come lo è oggi. E’ fondamentale capire che con il nostro
esperimento mentale, stiamo immaginando un presente alternativo in cui nessuno
sa assolutamente nulla del povero scrittore: apatia totale verso un nome
assolutamente vuoto, che si riferisce al più ad un defunto impiegato dell’est.
Alcuni oggi potrebbero chiamare tutto ciò un’ingiustizia, e forse pensò la
stessa cosa anche Brod, viste le sue azioni. Ma nessuno lo direbbe nell’altro
binario della storia: sarebbe questa la vera ingiustizia infatti, come un ladro
che la fa franca e rimane impunito, anche qui sembra che qualcuno riesca a
sfuggire proprio perché nessuno fa niente, perché nessuno mette in atto la
giustizia.
E’ qui che volevo arrivare: la giustizia va messa in atto da
attori sociali. Non esistono le ministre di Dike, come si pensava nell’antichità,
che puniscono i trasgressori degli equilibri naturali del cosmo. Esistono
purtroppo solo uomini, che una volta ce la fanno e l’altra magari no: la
giustizia è un’idea, per farla carne ci vuole il dramma della scelta e la forza
della rivoluzione. Il caso Kafka è stato un caso in cui ce l’abbiamo fatta, ma
possiamo immaginare un caso in cui abbiamo fallito? Riflettiamoci. Un caso del
genere di per sé è impensabile: sarebbe infatti il caso di una grande azione andata
perduta dalla memoria. Casi molto vicini a questi ne esistono a bizzeffe: solo
in pochi ricordano infatti Fra Dolcino, quel Fra Dolcino così fantasticamente
raccontato da Dario Fo ai giovani in televisione. Questa fu una figura
importantissima per l’epoca, fu precursore delle idee protestanti di Lutero, ma a differenza del Pastore tedesco, il nostro frate non vide la rivoluzione, bensì la
forca. Così in pochissimi ora conoscono Fra Dolcino, ma parecchi, almeno qua in
Europa, sanno qualcosa di Martin Lutero. Ma questo è un caso ancora troppo
lontano dal nostro compito: noi dobbiamo immaginare un caso sconosciuto a tutta
l’umanità, noi compresi, di un’azione grande ma sfortunata. E’ impossibile
farlo chiaramente, ma abbiamo l’impalcatura generale dell’esperimento mentale:
è possibile che esista un caso del genere. Se ciò non fosse allora dovremmo
ammettere che esistono delle divinità che applicano la giustizia, che la
giustizia è una e sacra e che la verità ha una forza che trascende la storia.
In poche parole, l’idioma popolare: la storia è il giudice supremo di qualsiasi
condotta.
Da ciò che è emerso finora non sembra proprio che le cose
stiano così. Sarebbe una visione ottimistica e riduzionista della storia.
Ottimistica perché non vede che l’applicazione della giustizia è un dramma e
una fatica; riduzionista perché pensa che tutti i fatti rilevanti della storia
siano già saltati fuori e che non ci sia più nulla da ripescare. Io mi alzo e
grido a gran voce che le cose non stanno così. La storia è storia di uomini. Ci
sono fatti che appartengono alla storia, ma che non verranno contenuti mai in
nessuna memoria. Altri invece sono lì, sotto i nostri occhi, ma nessuno ha la
pazienza e la forza di rendergli giustizia. E’ questo che dovrebbe fare l'uomo,
applicare la spada della giustizia, sostituirsi per un attimo alle ministre di
Dike e riportare alla memoria ciò che pensa meriti di essere riportato.
Sul cosa meriti di essere ricordato sarebbe bello dilungarsi
e parlarne in altra sede.

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